L’ADI – Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia ha presentato, nel maggio 2019, la “VIII Indagine ADI su Dottorato e Postdoc”. Come ogni anno, l’indagine ADI è stata l’occasione per discutere, dati alla mano, delle condizioni di vita e di lavoro dei dottorandi in Italia, delle conseguenze dei tagli che hanno colpito il mondo dell’Università e delle reali prospettive di carriera di chi ottiene un dottorato di ricerca.
Secondo le elaborazioni che l’ADI ha condotto su dati ministeriali, dopo il timido aumento registrato l’anno precedente, i posti di dottorato banditi in Italia nel 2018 registrano una flessione: dai 9.288 del 2017 agli 8.960 dell’anno seguente (-3,5%). Dal 2007, anno precedente alla conversione in legge del decreto Gelmini, i posti di dottorato banditi si sono ridotti addirittura del 43,4%. Anche i dottorati, dunque, riflettono le conseguenze dei tagli che hanno colpito il settore dell’Università negli ultimi dieci anni.
La riduzione dei posti messi a bando non è uniforme sul territorio italiano: dal 2007 al 2018 il Nord ne ha persi il 37%, il Centro il 41,2% ed il Mezzogiorno il 55,5%. Questa dinamica non fa che aumentare le differenze che già esistevano tra le tre grandi macroaree del Paese: oggi il Nord conta il 48,2% del totale dei dottorati banditi in Italia, il Centro il 29.6% ed il Mezzogiorno il 22.2%.
Nel 2018 il 16,9% dei dottorati è senza borsa; si tratta di una percentuale in progressiva riduzione negli ultimi anni (nel 2010, ad esempio, ammontava al 39%) ma il confronto con il trend dei dottorati con borsa (negli anni pressoché costante) dimostra che la diminuzione dei posti banditi senza borsa non si traduce in un corrispondente incremento di quelli con borsa.
L’indagine contiene anche i risultati di un questionario diffuso dall’ADI nelle università italiane e che ha raccolto in totale più di 5.000 risposte complete. Da queste, ad esempio, emergono importanti differenze nelle tasse di iscrizione al dottorato: tra coloro che le pagano, il 50% versa meno di 200 euro, mentre il restante 50% corrisponde importi in un range molto elevato che va dai 200 ai 2.000 euro. Si tratta di una “tassa sul talento” che fornisce, in ogni caso, un gettito esiguo.
Per quanto riguarda il post-doc, i dati Cineca elaborati dall’ADI rilevano che all’interno delle università il personale precario supera ormai quello stabile: 68.428 lavoratori a tempo determinato e 47.561 a tempo indeterminato.
Di particolare rilevanza è il focus che l’indagine ADI dedica quest’anno alla questione di genere e da cui emerge che tra il personale stabile solo il 37% è di sesso femminile. Tra il personale precario si ha invece quasi parità tra i due sessi: il 47% è costituito da donne ed il 53% da uomini. La percentuale di donne, inoltre, si riduce progressivamente man mano che si procede verso le posizioni apicali: il 50,3% tra gli assegnisti, il 41,1% tra i ricercatori a tempo determinato di tipo B, il 37,5% tra i professori associati e solo il 23,1% tra i professori ordinari.
Infine, secondo l’Indagine ADI, il 56,2% dei dottori di ricerca è destinato ad uscire dal mondo accademico dopo uno o più assegni. In totale, ben il 90,5% degli assegnisti verrà espulso dall’Università. Solo il dieci per cento dei dottori di ricerca diventa professore; inoltre, i dati Istat certificano che a sei anni dal titolo solo due dottori occupati su dieci sono impiegati nel settore dell’istruzione universitaria. Il dottorato, quindi, rappresenta, purtroppo, solo una tappa di passaggio.
In aumento, infine, sono i così detti “cervelli in fuga”: a quattro anni dal conseguimento del titolo il 18,8% dei dottori di ricerca occupati vive e lavora all’estero. Nonostante all’estero i contratti siano più spesso a termine, coloro che vanno fuori, vedono condizioni più favorevoli al rinnovo e un’esperienza internazionale da poter poi rivendere in altri settori lavorativi. Le mete preferite sono Regno Unito (21,2%), Stati Uniti (14%), Germania (11,7%) e Francia (11,2%). Nella maggior parte dei casi si tratta di uomini che hanno conseguito il titolo in un ateneo del centro o del nord Italia, con studi in matematica, fisica, biologia, ingegneria ed economia.
Le cause principali, quindi, del basso tasso di reclutamento italiano possono essere individuate, secondo ADI, nel costante definanziamento della ricerca pubblica, con tagli continuativi dal 2008 ad oggi, nel blocco del turn over e nella precarizzazione del “pre ruolo” universitario.
Per tutte le motivazioni sopra citate, l’ADI sta portando avanti la battaglia della Valorizzazione del Dottorato di Ricerca nell’Università (strada naturale), nella Pubblica Amministrazione, nelle imprese, nella scuola e negli ordini professionali.